Semplicemente… Dacia!

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Combattiva e contestatrice, autrice che ha fatto della parola il suo manifesto, sensibile e poliedrica Dacia Maraini compie oggi 83 anni, Shockwave Magazine non può che dedicarle un approfondimento per far conoscere a tutti una donna che ha attraversato e segnato la letteratura italiana dalla seconda meta del ‘900 ad oggi.

“La lunga vita di Marianna Ucrìa” è stato sul mio comodino per anni. Il nome di Dacia Maraini era dappertutto a casa mia, mia mamma era un’accanita lettrice di romanzi. Quando, dopo essermi avvicinata al teatro, ho scoperto che Dacia Maraini era anche un’autrice ed attrice teatrale mi ha conquistata definitivamente. Volevo scrivere la mia tesi di laurea specialistica su di lei ma ahimè il caso volle che volevo laurearmi in fretta e la prof. di Storia del Teatro e dello Spettacolo mi fece virare sulla produzione altrettanto gradita ma meno vasta di Natalia Ginzburg. Solo nell’ultimo capitolo il mio desiderio fu esaudito e misi a confronto le due autrici sul tema della memoria. Diventata adulta ho continuato ad apprezzare e ad approfondire la figura di Dacia soprattutto per come continuava ad affrontare le tematiche al femminile: mai banale, mai scontata, sempre attuale, sempre sul pezzo. Non posso raccontarvi tutto quello che ha fatto o scritto, non basterebbe un articolo e per quello ci sono già le biografie. Vi parlerò di lei e di come sia speciale, di come sappia parlare e toccare in profondità con la penna.

DACIA MARAINI: MINI BIOGRAFIA

Nata a Fiesole il 13 novembre 1936 dalla pittrice Topazia di Alliata Salaparuta e da Fosco Maraini, di origini inglesi, famoso etnologo e autore di numerosi libri, Dacia è stimolata fin da piccola alla conoscenza e cresce come una bambina curiosa. Nel 1938 la sua famiglia si trasferisce in Giappone dove il padre porta avanti una ricerca sugli Hainu, popolazione in via di estinzione stanziata nell’Hokkaido. Nel ’43 il governo militare giapponese li intima di firmare l’adesione alla Repubblica di Salò, in seguito all’alleanza del Giappone con l’Italia e la Germania, al loro rifiuto vengono internati in un campo di concentramento a Tokyo. Nella raccolta di poesie “mangiami pure” Dacia racconterà le sofferenze e le privazioni vissute durante questa terribile esperienza.

Tornata in patria, la famiglia Maraini si stabilisce in Sicilia, a Bagheria, dove Dacia si formerà, in seguito alla separazione dei genitori. La giovane seguirà  poi il papà a Roma al compimento del suo diciottesimo compleanno. Nella capitale, per mantenersi, Dacia inizia a lavorare come archivista, segretaria e scrive articoli per piccoli giornali finché nel 1958 fonda la rivista letteraria: “Tempo di letteratura”.

UNA GIOVANE AUTRICE CORAGGIOSA E MODERNA

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Nel 1962 la giovane Dacia pubblica il suo primo romanzo: “La vacanza” accolto non benevolmente dalla critica perché, nello stesso anno, l’autrice inizia la convivenza con Alberto Moravia che, per lei, lascia la moglie Elsa Morante.  I più la considerano come una “raccomandata”. Dacia ha alle spalle anche un matrimonio finito con Lucio Pozzi e un aborto spontaneo. A dispetto della situazione iniziale la sua carriera di scrittrice inizia a decollare e nel 1966 le sue poesie “Crudeltà all’aria aperta” vengono recensite in maniera molto positiva da Guido Piovene.

DACIA MARAINI E IL TEATRO

Invitante è presentare un excursus sulla sua produzione teatrale, molto meno conosciuta di quella letteraria. Sempre negli anni ’60 inizia ad occuparsi di teatro fondando il “Teatro del Porcospino” mentre nel ’73 insieme a Leone, Pansa e Boggio fonda “Il Teatro della Maddalena” gestito e diretto da sole donne. Inizia così anche la sua produzione teatrale che vanta titoli come: “Maria Stuarda”, “Dialogo di una prostituta con un suo cliente” tradotto in inglese e francese e rappresentato in dodici paesi diversi. in questo testo la Maraini inserisce un elemento originale, lo spettacolo è continuamente interrotto dalla protagonista che si rivolge al pubblico con domande provocatorie per sollevare un dibattito sulla tematica affrontata.  Il teatro è, per l’autrice un modo per giocare (diversamente dai romanzi) con la parola.

A seguito di un’inchiesta della rivista Sipario del 1965, che pone tre domande agli scrittori sul teatro, si apre un dibattito che gravita intorno alla questione: è possibile scrivere per il teatro? Rispondono in trentuno, tra cui la nostra Dacia. Gli altri, tra cui Moravia, Pasolini, Piovene, Buzzati, Quasimodo, sostengono che non è il momento di scrivere per il teatro perché manca il linguaggio. Vi è una sorta di rifiuto della parola a favore dell’immagine e Flaiano sintetizza bene l’opinione di molti intellettuali. Il problema, secondo Flaiano e i suoi colleghi, è che la società non sente più l’esigenza del teatro come la percepiva nel dopoguerra. Il benessere e la vuotezza, le belle frasi e i paroloni sono pieni di forma e poveri di sostanza, segno che, alla voglia di esprimere sentimenti veri, si sostituiscono l’impossibilità di comunicare e l’assenza di unione. La Maraini si trova completamente in accordo con le affermazioni di Flaiano, ma, nonostante sostenga che il problema è sociale e che è probabilmente dovuto alla «stanchezza delle ideologie»  che si sorreggono solo su inutili parole, propone una nuova soluzione:

<<Recriminare per la perdita della parola è inutile. Bisogna cercare il perché. Io che faccio teatro di parola so quanto è infida e logora e incredibile la parola in teatro. Ma io amo le parole e perciò continuo ad usarle. E’ il solo modo che conosco per esprimermi>>

Da Fare teatro- Materiali, testi, interviste, Milano, Bompiani, 1974

TEATRO E RIVOLUZIONE

Dacia vive il teatro, in tutte le sue forme, fonda compagnie, sa cosa significa provare, cosa significa condurre la vita dell’attore senza fissa dimora, insomma vive sia sul palco che dietro le quinte. I suoi ricordi della vita teatrale, poi, contribuiscono ad arricchire il bagaglio di esperienze che si porta dietro e che riversa sulla pagina:

<<Finché non mi sono messa io stessa a fare teatro non mi sono resa conto della enorme difficoltà della scena. […] Non conoscevo le tribolazioni molteplici del fare teatro. Non immaginavo il posto che può occupare nel gioco della comunicazione la regia, non sapevo che senza degli attori lucidi ed appassionati che si prendano carico del testo, esso non lievita. Non pensavo che senza una forte organizzazione dello spazio scenico delle luci, della musica, niente funziona su quelle assi esposte. […] Tutto questo mi ha dato una conoscenza dall’interno del «fare teatro» che diventa molto utile quando si scrive un testo .>>

Da Fare teatro (1966-2000), vol. I, Milano, Rizzoli, 2000

Nella prima produzione teatrale della Maraini, negli anni ‘60, assistiamo ad un vero e proprio impegno politico su tutta la linea, le tematiche affrontate sono scottanti: la guerra in Vietnam, il Femminismo, il problema delle carceri (una pièce si intitola proprio “Manifesto dal carcere”):

<<Sono gli anni della passione politica. Facendo teatro si può cambiare il mondo? Forse no, ma si può aiutare qualche testa a riflettere, si può risvegliare qualche coscienza, si può suscitare qualche nuovo pensiero, qualche sospetto, qualche moto di sdegno o di protesta. […] C’erano i disoccupati, c’erano i senza casa, c’erano  pazzi in manicomio che Basaglia stava cercando di liberare, c’erano i carcerati trattati come bestie, c’erano le prostitute cacciate dai quartieri periferici […]. Volevamo mettere le nostre voci, i nostri talenti, al servizio di chi non aveva il diritto di parola .>>

Il teatro della Maraini, inoltre, ha una connotazione molto più sperimentale, la scrittrice è sempre alla continua ricerca di nuovi linguaggi scenici, soprattutto nel decennio ’70, e si avvicina anche alla pratica del teatro di strada, fa la conoscenza del Living theatre e tende a rischiare maggiormente rispetto alle autrici sue contemporanee.

<<Il teatro è sempre stato un impegno collettivo. […] Non si scrive per fare leggere i propri scritti ma per farli rappresentare. […] L’importante è sapersi tenere la libertà di elaborare a modo proprio il tema scelto in comune, saper mettere nell’impresa molto di sé, saper usare abbondantemente del proprio linguaggio, ovvero di uno stile che si è elaborato nel tempo .>>

DONNA E MEMORIA

Le figure femminili sono le protagoniste delle opere sia teatrali che letterarie della Maraini, figure storiche con nomi altisonanti come Maria Stuarda o Charlotte Corday, Caterina da Siena, vere eroine che però vengono narrate non sul piano della memoria storica ma in quella privata. Spesso donne legate ad un mestiere che però non è quotidiano: la prostituta, la ladra, ruoli estremi, non quotidiani. Ruoli che dal particolare possono essere trasportati all’universale. La memoria per la Maraini è qualcosa di indispensabile che ci rende consapevoli di quello che siamo, è esperienza ma porta con sé sempre e comunque del dolore. E’ la nostra coscienza, quello che ci caratterizza. Per dar voce a questo, i testi della Maraini, sono spesso corredati da canzoni, nenie e poesie che fanno riferimento ad una memoria lontana, atavica e che contribuiscono a creare un’atmosfera particolare:

«E pi e pi e pi/ sette fimmini p’un tarì/ e pi e pi e pi/ un tarì è troppo pocu/ sette fimmini p’un varcuocu»

  è la filastrocca siciliana della Marianna narratrice di La lunga vita di Marianna Ucrìa. Spesso vengono presi testi famosi e conosciuti dai più e attualizzati e allora ne “I sogni di Clitennestra” Agamennone diventa così un industriale di Prato e Clitennestra un’operaia tessile, Oreste è un omosessuale.

5 ROMANZI DI DACIA MARAINI DA NON PERDERE

Concludiamo con una rassegna dei 5 romanzi, da riscoprire,  sfogliare, leggere e rileggere.

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  1. LA LUNGA VITA DI MARIANNA UCRíA (1990): Narra della vita di Marianna, una giovane cieca e sorda ma con tanto da esprimere. Una storia intensa che parla di incomunicabilità e di ribellione. Il riscatto di una donna emarginata dalla società che, con forza e volontà arriva ad essere indipendente. <<Lo sguardo alle volte può farsi carne, unire due persone più di un abbraccio.>>
  2. BAGHERIA (1993): La descrizione di un infanzia, di un luogo, fatto in maniera aperta e quasi catartica. La Sicilia si staglia sullo sfondo con i suoi odori, sapori e rumori. Un tripudio dei cinque sensi descritti attraverso la parola. Memoria storica e privata che si compenetrano, passato e presente, denuncia coraggiosa <<Ribadendo che ogni rappresentazione, in quanto tale, contiene in sé delle verità che la verità conclamata non dice, non svela.>>
  3. MEMORIE DI UNA LADRA (1972): La storia di Teresa Numa, una delle tante carcerate che Dacia conobbe durante una sua inchiesta sul carcere e che racchiude in sé più storie ascoltate in quegli anni. Per noi tutti il volto di Teresa è collegato alla strabiliante Monica Vitti che nel 1973 recitò nella trasposizione cinematografica: “Teresa la ladra”. <<Dicono che sono nata male, mezza asfissiata dal cordone ombelicale che mi si era arrotolato attorno al corpo come un serpente. Mia madre credeva che ero morta e mio padre stava per buttarmi nell’immondizia. Allora dicono che dalla mia bocca grande e nera è uscito un terribile grido rabbioso. E così hanno capito che ero viva, hanno tagliato quel serpente, mi hanno lavata e cacciata dentro un letto con gli altri miei sei fratellini.>>
  4. IL TRENO DELL’ULTIMA NOTTE (2008): Ancora una storia, Est Europa, 1956, rivoluzione ungherese. Ancora una protagonista donna: Amara. Ancora un viaggio, una ricerca all’indietro nel tempo di qualcosa che forse non esiste più. Libro che mi ispira un mood color blu come l’immagine di copertina. <<Ogni treno in fondo viaggia verso il regno dei trapassati, trasportando idee e meditazioni che si nutrono di se stesse.>>
  5. AMATA SCRITTURA (2000) : Un testo che ho amato dove Dacia ti prende per mano e ti conduce con semplicità attraverso i complessi meandri della letteratura.

La scrittura è un lavoro di artigianato, come il teatro, Dacia con il suo esempio e il suo sorriso deciso continua e continuerà a dimostrarcelo. 100 di questi giorni cara Dacia.

Elena Fioretti
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