Quentin Tarantino, il regista pop che spiegò la postmodernità con Pulp Fiction

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Quentin Tarantino è considerato uno dei migliori creatori del cinema moderno. Dalla regia, alla scrittura, passando alla direzione della fotografia nei suoi film, è un chiaro esempio di cineasta che ha imparato dal sistema hollywoodiano, l’ha usato a proprio vantaggio e ha abbondantemente influenzato tutto ciò che concerne la settima arte.

Contemporaneo e diretto, Quentin Tarantino deve la sua onorata carriera ai riferimenti cinematografici del passato che nell’era moderna gli hanno procurato il titolo di “autore postmoderno”. L’ermetico regista ha avuto fin dall’inizio una grande capacità di rielaborare una storia che generalmente abbiamo visto narrare innumerevoli volte, rispolverandola e consegnarcela in un formato originale e moderno – Reservoir Dogs è l’esempio più calzante che possiamo fare di questo metodo.

Il segno distintivo dello stile di Tarantino è la saturazione irrilevante ma familiare della cultura pop.

I suoi personaggi non operano in forma del “politicamente corretto”. I suoi protagonisti guardano, ascoltano, discutono e decostruiscono la stessa musica, i programmi e i film che guardiamo e ascoltiamo nella quotidianità. Questo crea uno straordinario ponte tra noi e loro. Un ponte che ci fa sapere che non siamo così diversi da questi assassini spietati e senz’anima. È una tecnica molto efficace, una tecnica che è stata ripresa più volte nel cinema. Copiare Tarantino è una trappola facile in cui cadere. Parliamoci chiaro: piaccia o non piaccia è un regista rilevante, è un unicum nel suo genere,  ha delle qualità che tutti i cineasti vorrebbero avere.

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Quentin Tarantino, Pulp Fiction: emblema del cinema

Diretto nel 1994 da uno sconcertante Quentin Tarantino, Pulp Fiction è un film postmoderno perché stravagante, sorprendente e a tratti offensivo. Costringe i cineasti amanti dell’azione e delle emozioni a smaltire tutte le imprevedibilità della pellicola. Il regista usa lo shock, la sorpresa, il mistero e l’assurdità miscelandoli magnificamente con quell’umorismo bizzarro e allucinatorio. Pulp Fiction è un affresco tentacolare non lineare. Si raccontano tre storie ben scritte – che gli valsero il premio Oscar alla sceneggiatura – con un prologo e un epilogo.

Le tre storie ad un certo punto si intrecciano e coabitano perfettamente, interagendo in modo superbo con lo spettatore. Questo è proprio il modo in cui Tarantino abbellisce e, infine, interconnette queste narrazioni che rendono il film alternativamente esilarante, frustrante e indignante. Ci sono un sacco di dialoghi acuti, impertinenti, profani, e ci sono molti riferimenti intelligenti alla cultura pop. Impossibile non citare poi la deliziosa colonna sonora che spazia dal rock al blues, passando per il funk e la particolare surf music.

Insomma, Pulp Fiction di Quentin Tarantino è più di un semplice prodotto della settima arte. E’ un vero punto di riferimento nella storia del cinema internazionale. Il delirante, introspettivo, divertente e accattivante set di personaggi è sconvolto da ogni senso di convenzione, si muove attraverso il paesaggio del piccolo universo soleggiato di Tarantino con una brutalità malvagia e una fluidità meravigliosa. Ogni goccia aguzza di melodie, una rapida panoramica della fotocamera e un veloce rimescolamento della narrazione caleidoscopica si uniscono in un capolavoro di audacia profonda e perversione intrisa di sole.

Isabella Insolia
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