Dente: il nuovo album di Dente – Recensione

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Sarà la musica a cambiare il mondo, l’hanno detto oggi alla Tv, ma se non ce la fa pensaci tu.

Dente torna a casa, rimette mano alla sua penna e ricomincia a scrivere pagine importanti per il cantautorato italiano. A distanza di quattro anni dall’ultimo album “Canzoni per metà” che aveva chiuso i primi dieci anni di carriera dell’artista di Fidenza esce il suo primo album omonimo, il primo in cui Giuseppe Peveri mette la sua faccia, in tutti i sensi.

Per molti versi questo album è diverso da tutto il resto che c’era stato in precedenza, manca infatti la chitarra acustica, vero perno di tutta la sua discografia precedente. Fa il suo ingresso il pianoforte come strumento principe, lo stesso autore racconta di aver voluto coinvolgere altre persone nel processo creativo e produttivo dell’album, quello con la gestazione più lunga di tutta la carriera di Dente.

I primi due singoli “Anche se non voglio” ed “Adieu” hanno subito messo in chiaro che la scrittura aveva tratto giovamento da questa lunga pausa in cui Dente non aveva pubblicato album. Le ritmiche e la produzione richiamano sonorità anni 80, come molta della produzione musicale italiana su cui ha messo le mani Matteo Cantaluppi che in quest’occasione si è affiancato a Federico Laini. Le canzoni di Dente però non scivolano sul terreno semplicistico del hit da classifica, bensì grazie anche alle liriche di Giuseppe Peveri portano i brani nel territorio più impervio del pop raffinato e sperimentale.

Rispetto ai brani a cui ci aveva abituato Dente in questo disco i testi sono più diretti, vengono abbandonati i giochi di parole ed i calembour in cui il nostro cantautore era maestro e che in qualche modo lo avevano visto come l’apripista di una tecnica ormai abusata. Il difficile è essere semplici, lo si dice sempre, ed è questa la strada che sembra aver voluto percorrere Dente. Frasi dirette che però molti spesso faticano a pronunciare.

Non manca l’ironia “L’unico difetto che hai sono io” canta in L’ago della bussola, ma c’è molto di più nei brani, lo stesso Dente dice “11 brani che parlano in prima persona di debolezze e di paure, degli anni che passano e che ti cambiano e dell’amore che non smette mai di stupire, del passato e di come lo ricordiamo e del futuro che possiamo solo immaginare” ed è esattamente così, basta ascoltare Paura di niente in cui la cosa che maggiormente ci fa paura, dice l’autore, siamo noi stessi. È tutto dentro di noi, paura e amore, speranza e delusione, le canzoni di questo album raccontano questo.

Per Dente è stato come smarcarsi da un ruolo precostituito, uscendo dal personaggio che forse lui stesso si era creato nel tempo attraverso il suo modo di scrivere, contribuendo a dar vita al movimento indie che poi lo ha fagocitato snaturando anche il senso della stessa etichetta (se un’etichetta si può dare alla musica) stessa. Il disco di Dente, come gli ultimi di Brunori e dei musicisti a loro contemporanei raccontano esattamente questo, la crescita,  il cambiamento, le paure ed il tempo che passa cambiando tutto soprattutto i nostri punti di vista sul mondo.

“il mondo che mi gira intorno è diverso da me”

Dente è un album che rimette in pace Giuseppe con il suo pseudonimo ed allo stesso tempo riporta vicino al palco tutti quelli che sono cresciuti ascoltando i bellissimi album scritti da Dente nei suoi primi dieci anni di carriera, è un nuovo capitolo di una storia ancora tutta da raccontare.

Raffaele Calvanese
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