Mario Lavezzi: intervista al signore della musica

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Abbiamo raggiunto al telefono Mario Lavezzi, vero e proprio signore della musica, autore di pietre miliari (spesso insieme al suo collega Mogol) come E la luna bussò, In alto mare, Vita, produttore di Loredana Bertè, Anna Oxa, Fiorella Mannoia, indiscusso musicista, promotore dello studio della musica tra i giovani. Un’anima pura, un eterno ragazzo pieno di sogni che ha regalato alla musica italiana tutto il suo formidabile talento, con discrezione, senza mai mettersi in mostra, con l’umiltà che solo i grandi possono avere.

Ne è scaturita “ una chiacchierata” più che un’intervista, come l’ha definita lui, di quasi un’ora passando da aneddoti di vita narrati nella biografia uscita da poco per i suoi cinquant’anni di carriera, E la vita bussò, alla sua opinione sulla musica oggi.

Mario Lavezzi

Partiamo subito con una piacevole novità: la biografia: E la vita bussò. Il libro a cura di Mario Pollini (che potete trovare qui) ripercorre tutta la sua carriera e in parallelo la storia della musica italiana dagli anni ’60 ad oggi. Ho avuto il piacere di leggerlo e mi ha dato moltissimi spunti per quest’intervista soprattutto per decidere di procedere per confronti grazie ad un artista, come lei, che ha assistito ad innumerevoli cambiamenti.

Mi ha molto colpito il racconto della sua profonda necessità di vivere di musica e di come l’ha voluta esprimere anche andando contro, un po’, alla volontà dei suoi genitori. Io, da attrice, capisco benissimo questa esigenza ma, purtroppo, oggi, questa situazione non è cambiata e il pensiero comune è ancora questo: non si può vivere di musica o di arte in generale, insomma “con la cultura non si mangia”. Cosa ne pensa al riguardo?

Questo è un luogo comune. Con la cultura non si mangia ma guarda caso, in questa situazione di emergenza le persone tornano a leggere, anzi, soprattutto la musica, fa da grande supporto morale oltre che compagnia quindi non è vero che con “l’arte non si campa”, è una sciocchezza.

L’arte è espressione di una passione, per carità ogni mestiere può essere una passione ma sia la musica che tutto ciò che è legato ad un ideale più che ad una cosa concreta, sicuramente, è dettato prevalentemente dalla passione. Quindi, in questo momento, bisognerebbe che tutti pensassero che, guarda caso, quelli che fanno opera d’ingegno, oltre ad essere fortunati perché fanno un mestiere che a loro piace molto, hanno una valenza sociale più che economica.

E proprio in questo momento con le restrizioni dovute al Covid si sa che non si possono fare concerti, perché muovono molta gente e sarebbe pericoloso, si possono sì scrivere libri ma non possono esserne stampati di nuovi perché le fabbriche sono chiuse. Quindi va detto e va sottolineato che si sta perdendo tutta una filiera, tutto quel sistema del nostro settore che consta di circa quattrocentomila lavoratori che, ovviamente, in questo periodo, non possono guadagnare nulla.

Va sottolineato anche questo: gli autori, ad esempio, sono una categoria non riconosciuta giuridicamente, non hanno una cassa previdenziale e per loro non ci sono neanche le 600 euro che vengono messe a disposizione perché non esistono per lo Stato. Per cui come fanno a guadagnare piccoli o grandi che essi siano? Attraverso la musica suonata dal vivo, con l’esecuzione pubblica che attualmente è già sospesa da due mesi e lo sarà probabilmente per tutto il 2020. L’anno prossimo la raccolta di diritti d’autore la SIAE, (io sono anche un membro della SIAE come presidente del consiglio di Sorveglianza), perderà circa 300 milioni di euro dai vari settori: cinema, teatro, musica, lirica, tutta la filiera della creatività in genere. Nessuno parla di questo, soprattutto la stampa. È un aspetto che va sottolineato fortemente come ha fatto, recentemente Tiziano Ferro.

 A tal proposito l’intervento di Ferro ha creato non poche polemiche da parte di qualcuno che l’ha anche prontamente redarguito dicendo che “non sono questi i problemi del momento” e che lui “ha tanti soldi quindi che cosa parla a fare”, polemiche sterili secondo me, scaturite, purtroppo, anche dagli stessi lavoratori del settore perché se non parlano i più grandi, quelli che hanno più seguito, di questa situazione, chi potrebbe farlo?

Non facciamo la solita demagogia da parte di gente che non sa e che non conosce, Tiziano Ferro fa musica da molti anni e sa quello che dice. Le faccio un esempio. Io ho 72 anni e Mogol ne ha 83. Abbiamo vinto le elezioni della SIAE (poi vinto, non mi vanto di questo, secondo me avremmo potuto decidere in maniera più semplice ma, come succede spesso in Italia, c’è questa corsa all’individualismo e abbiamo dovuto votare con otto liste e tantissimi candidati), la mia lista ha vinto e abbiamo deciso di mettere come Presidente della nostra lista Mogol che non voleva, abbiamo dovuto pregarlo e lui ha accettato.

Ma non è perché io e lui ci guadagniamo qualcosa da questo, anzi lo facciamo per noi, per la nostra categoria e soprattutto per le nuove generazioni. Potremmo fregarcene perché noi abbiamo già dato ma sentiamo l’esigenza di lasciare un’eredità a chi in questo momento sta intraprendendo questa strada. Chi critica non sa. Allora facciamo una cosa: spegniamo tutte le radio, togliamo tutta la musica in televisione, basta, finisca la musica, non ce n’è più, forse, così, chi ha fatto polemica si renderà conto di non aver capito niente.

Come stimolare i giovani oggi ad avere la stessa passione di voi ragazzi di allora? Un interessante progetto, di cui è promotore, insieme a Mogol e Mussida è “Campus Band musica & matematica” arrivato alla quarta edizione, un concorso nazionale rivolto a tutti gli studenti: cantautori, interpreti e gruppi musicali che si sono formati nelle scuole e nelle università italiane.. ce ne parli.

Il progetto nasce dal fatto che io (gioco di parole) “nasco” da un gruppo di studenti, il mio primo gruppo si chiamava I trappers di cui inizialmente ha fatto parte anche Teo Teocoli. Con loro abbiamo fatto una stagione a Finale Ligure, prima non esistevano i dj, si faceva solo musica dal vivo e avevamo circa 260 canzoni in repertorio, perché si suonava dalla 9 di sera alle 3 del mattino (si ballavano anche i lenti non solo il rock’n’roll).

Durante le feste natalizie o d’estate le scuole organizzavano festival studenteschi e per Campus Band mi sono ispirato a questi festival dove si potevano scoprire talenti che stavano ancora studiando, magari anche altro. Ricordiamo che sia Jannacci che De André hanno scelto la musica pur avendo studiato tutt’altro (Jannacci era medico). Il nostro compito è quello di scovarli e di dar loro una possibilità.

Mario Lavezzi

Quanto conta nella vita di un artista il colpo di fortuna? (Come quello che ebbe lei con la chiamata dei Camaleonti quando tutto le sembrava perduto)

I Camaleonti mi conoscevano, io non lo definirei un “colpo di fortuna” perché è proprio la vita che dà queste possibilità: quella di progredire ma anche di regredire perché dopo essere entrato nei Camaleonti, comunque, dopo due anni e mezzo, ho dovuto lasciarli per fare il servizio militare. In quel momento di tormento e di disperazione è nata la mia carriera, in quel momento ho scritto la prima canzone della mia vita. Chi mi dice che se non fossi andato a fare il militare avrei scritto quella canzone? Quindi si chiude una porta e si apre un portone basta non abbattersi e andare avanti anche se la fortuna ci è avversa.

Nel libro si narra anche di come, nel 1965, grazie ai Beatles, che lei ebbe la fortuna di vedere dal vivo, si riuscì a compiere una vera (cito testuali parole) “scolarizzazione di massa dell’alfabeto rock”. Oggi, secondo lei, a chi dobbiamo far riferimento come artista estero, noi italiani, per dare quel quid in più alla nostra musica? E quali sono gli artisti italiani, secondo lei, più innovativi nel settore?

Non possiamo paragonare la musica di oggi alla musica di allora perché dovremmo paragonare due epoche. All’epoca il Dopoguerra consentì al mondo di sprigionare un’energia creativa in tutti i settori e le idee di quel periodo vengono ancora riproposte oggi (basti pensare alla moda che ritorna sempre su stili di epoche passate). A quel tempo eravamo proiettati verso il futuro, verso un cambiamento radicale dei costumi mentre oggi si tende ad imitare o riproporre il passato. Oggi è come se avessimo toccato il fondo di un periodo di decadenza.

Oggi c’è il trash che all’epoca non esisteva, al massimo avevamo la musica popolare che aveva una sua cultura lo stesso mentre il trash non porta da nessuna parte. Non c’è però un colpevole è l’epoca in sé che è un’epoca di decadenza che l’uomo ha sempre vissuto nel ciclo della storia umana. Io spero che sia un nuovo inizio per ripartire, per fare un reset.

Una speranza nel mondo musicale c’è, dei segnali, prima abbiamo nominato Tiziano Ferro che riesce a muoversi su registri diversi passando dalla canzone E Raffaella è mia a sere nere, così come Jovanotti, tra i giovanissimi Ultimo che ha delle buone canzoni, scritte bene, arrangiate bene, cantate bene e lui è credibile cantando quel testo. Tutto si deve basare sulla credibilità per funzionare. Bisogna cercare la credibilità per dare spessore. Il bello è oggettivo, quest’anno delle canzoni di Sanremo purtroppo se ne salvano tre, una percentuale un po’ bassina da cui, però, si può ripartire.

Nel libro si fa anche riferimento al rapporto stretto, soprattutto negli anni ’70, tra musica e politica e di come lei fosse in disaccordo con alcuni sui colleghi sull’esprimere il proprio pensiero politico in maniera esplicita insieme alla propria arte. Ci parli un po’ del rapporto tra musica e politica secondo lei.

Non è che fossi in disaccordo è che secondo me per l’epoca che stavamo vivendo era assurdo salire sul palco e mostrare il pugno per farsi riconoscere. De Gregori, quando cantava, esprimeva benissimo il suo pensiero progressista ma senza bisogna di dar mostra di sé con dei gesti. In Italia poi si danno delle definizioni politiche molto forti cosa che negli Stati Uniti e in Inghilterra non succede, la politica ha tutta un’altra funzione. La situazione allora era ancora più esasperata, erano gli anni di piombo, c’erano degli scontri politici.

Il lato bello è che ci fossero degli scontri motivati da un ideale, due forze contrapposte che ci credevano, oggi si ammazzano fuori dalle discoteche per niente. Gli ideali dove sono? Tutto questo fa parte sempre del periodo di decadenza. Io non mi sono mai schierato, un artista non lo fa in maniera esplicita,  tutti avevano chiaro il pensiero di Bob Dylan, ad esempio, ma questo si deduceva dalle sue canzoni non da altro. Tantissimi artisti si sono espressi sul sociale ultimamente ma non c’è bisogno di dichiarare per quale partito votano.

Nel 1985 ha vinto il Telegatto nel ruolo di Music Maker, un premio istituito appositamente per lei, all’epoca, che ha segnato la svolta per questa nuova figura professionale moderna. Che differenza c’è tra l’essere autore, produttore e musicista e come si conciliano tutti questi ruoli?

Questa definizione mi è stata data nel libro come di coloro che a tutto campo si occupano di musica ed è quello che ho fatto anche io, siamo pochi in Italia ad essere stati produttori, autori, musicisti ed interpreti. È una cosa che io praticato da sempre mentre altri lo diventavano quando avevano una carriera già avviata. Ho fondato  e prodotto vari gruppi dai Flora Fauna e Cemento al Volo con Alberto Radius e il mio ruolo di produttore è venuto fuori, quasi per gioco, con Loredana (Bertè) con cui avevo anche un rapporto sentimentale.

È lì che ho capito che mi piaceva sia fare dischi miei, con cui volevo proseguire la mia ricerca dopo lo scioglimento de Il volo dove non avevo l’ambizione di essere primo in classifica, ma che facevo solo per il gusto di farli (a volte mettevo anche solo brani strumentali) e che mi piaceva anche aiutare gli altri artisti. In questo caso, però, mi rendevo conto di avere più responsabilità. In questo caso volevo fare un album di successo perché avevo in mano la vita e la carriera di un’altra persona. Da produttore bisogna spogliarsi del proprio ruolo di autore e capire che se non hai la canzone adatta devi andare a sceglierla da qualche altra parte. Io così ho fatto anche con Loredana quando ha cantato Dedicato di Fossati. Quando invece sai di avere un pezzo forte “lo doni”.

Mario Lavezzi
Con Loredana Bertè e Umberto Tozzi

È quasi un atto di generosità.

Sì, purtroppo qualche cantautore che fa anche il produttore (meglio non fare nomi) preferisce tenere le canzoni migliori per sé invece di darle, oppure preferisce scriversele da solo invece di prenderle da altri. Questo non succedeva ad esempio per Lucio Dalla, un cantautore che aveva un mente che spaziava, una velocità mentale che pochi hanno, sentiva quando non c’era la canzone ma, siccome doveva fare un album per accordi discografici e quindi ottenere un risultato, era disponibile a scegliere da qualcun altro. Ha preso Attenti al lupo da Ron e ha preso Vita da me e Mogol. Una canzone può trainare un intero album. Bisogna avere la capacità di discernimento, il coraggio ma anche l’umiltà.

Per concludere le vorrei chiedere un messaggio che Mario Lavezzi non hai mai detto ma che avrebbe voluto dire, da recapitare a chi vorrebbe far musica e a chi la ascolta

Un messaggio che non ho mai dato è dura ma cercherò di usare altre parole. Diciamo che la cultura è tutto, dicendo cultura intendo anche autocritica. Molti artisti come Lucio Battisti, Pino Daniele e anche io, hanno iniziato sentendo molta musica ma eseguendola anche. La impari quando le esegui perché capisci come è arrangiata, come è cantata, come è scritta. Impari un sacco di cose. Al giovane dico: ascoltare, ascoltare, ascoltare, è fondamentale. Perché poi la musica ti viene fuori spontaneamente, l’ispirazione ti viene dalla cultura che hai assimilato.

Elena Fioretti
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