La Fortuna che Abbiamo di Samuele Bersani è il vinile della settimana

| | ,

La Fortuna Che Abbiamo, vinile di Samuele Bersani, è l’ospite della nostra prima serata in musica del 2020. Un vinile scelto per il titolo, per la riconoscenza delle nostre fortune, e per l’auspicio di tutto ciò che verrà

Rieccoci, pronti a ripetere il solito rito settimanale, la confort zone di ogni malato di musica, in compact disc, in streaming o in vinile. Una routine che settimana dopo settimana ha portato me a scoprire perle nascoste nella discografia mondiale e ha alimentato l’esigenza di condividere tutto ciò con voi lettori. Insomma in tempi di bilanci sui mesi trascorsi, l’ascolto privato del mercoledì sera sul divano o in terrazzo è un’abitudine che mi tengo ben stretta e che porterò con me (e con voi) anche in questi mesi che verranno. Ma adesso bando alle ciance, su queste testine dei nostri grammofoni e giù con l’ascolto del cantautore romagnolo Samuele Bersani e il suo La Fortuna che abbiamo.

Questo doppio vinile è una vera perla rara, una raccolta live dei maggiori successi dell’artista, registrato in occasione del venticinquesimo anno di carriera, più una bonus track inedita. E l’ascolto parte proprio da quest’ultima. Primo brano è la title track “La Fortuna Che Abbiamo”, il testo che meglio riesce ad essere lo specchio delle cose/persone salvabili del mio 2019. Ma mentre le prime note scorrono nell’etere, io – ancora in hangover dal veglione di Capodanno – tiro fuori dalla dispensa una birra artigianale Alchimista della linea Ipa New Art Beer e stappo questa bottiglia brindando a me, ai miei trecentosessantacinque “m’ama o non m’ama” autoriferiti, a cui rispondo sempre positivamente, alla fine dei conti.

La Fortuna Che Abbiamo

A questo punto posso tornare a dedicarmi a La Fortuna Che Abbiamo. Come in un flusso di coscienza, in un dialogo interiore, c’è un fitto rincorrersi tra due persone che, ritrovate dopo molto tempo, si mettono in discussione e i sentimenti negativi alla fine si trasformano in un’emozione costruttiva. Una strana coincidenza per me che sono esattamente in questo stesso punto della vita.

“Quanti passi per venire dove sei,
Non lo dico a nessuno
Io sono timida
Ma tu sei molto abile a stanarmi e farmi uscire sempre troppo di me
E questo è!
Resto ferma sopra il ponte levatoio che si è appena abbassato
E non so ancora se tornare indietro da sola, un’altra volta
Oppure attraversarlo con sé
E correre in discesa fa paura quando manca l’aderenza
Puoi prendermi le braccia e immaginare siano freni d’emergenza!”

Come anticipavo, in questo momento è un argomento particolarmente combattuto per me; sempre al limite tra il “va bene così, nel dubbio, nell’incertezza, nel brio del c’è/non c’è” e il “adesso basta, dammi la mano e facciamo questo salto insieme, proviamo a vedere cosa c’è dall’altra parte della paura; proviamo ad essere felici insieme”. Vi ricordate quando in un precedente ascolto ho descritto questo periodo come “il liceo da adulta”? Un concetto un po’ banale per raccontare una parentesi di vita in cui la riscoperta di vecchie abitudini, vecchie certezze troppo spesso date per scontate, sono tornate a farsi spazio nella mia vita. Come questo secondo brano di La Fortuna Che Abbiamo, “Spaccacuore”, una delle più celebri hit di Bersani, riproposta anche dalla Pausini. Un brano che si apre con un imperativo:

“Ma non pensarmi più, ti ho detto di mirare…”

Imperativo che mi costringere a guardarmi indietro e vedere la fatica che mi è costata mettermi il cuore in pace, la vedo ma non la sento più, la fatica. Quando ci si lascia, anzi quando si supera la soglia del lasciate ogni speranza voi che uscite (leggi speranza di recuperare il passato, di tornare con la persona amata, di recuperare il rapporto), si percorre una via irreversibile, dolorosa, ma anche salvifica verso l’altrove, il futuro. In questo anno passato ho riscoperto la gioia del futuro, la gioia del “qualsiasi cosa sia stata, qualsiasi cosa sarà”. La salvificazione. La disintossicazione dall’aggrapparmi mani e piedi al fantasma del passato (sì, al singolare), e la forza di curarmi la cervicale e riuscire a girare il collo nella direzione più giusta, l’avanti. A proposito dell’altalena tra il dietro e l’avanti, il terzo brano di La Fortuna Che Abbiamo è “Il Pescatore di Asterischi”, in una inedita ed eccezionale versione in featuring con Marco MengoniGnuQuartet.

La Fortuna Che Abbiamo

Tra le novità sostanziali dell’anno appena trascorso c’è l’essere ricorsa anche io al fenomeno tristemente odierno dei “figli boomerang”, e quindi l’aver chiesto asilo politico ai miei genitori dopo un decennio di totale autonomia. In questo momento nostalgia ho impressa davanti agli occhi una polaroid ritraente la mia vecchia camera da studentessa, un covo di suppellettili e testimonianze di passaggi di persone e di eventi, spesso in balia della polvere e delle imprecazioni quando queste iniziavano ad essere dolorose. Su un armadio c’erano attaccati dei post – it con incise sopra frasi di canzoni dedicate e ricevute come dediche, verdi i primi, blu i secondi. Quello che avevo più a cuore riportava queste parole:

“C’è un quaderno che nascondo
Ma non ho mai scritto cosa sei per me
Perché è facile
Tu mi leggi dentro io no!”

Il post it che lo ospitava era di colore verde, e la risposta della controparte fu una citazione a Sartre: “La mia testa è un sabba e tu sei tutte le streghe. Congiungermi con te non è mero piacere sessuale, è mangiare al banchetto della rigenerazione”. Insomma un brano che mi riporta indietro nel tempo e mi ricorda uno dei miei più grandi limiti, l’incomunicabilità delle mie emozioni. Mi distraggo, o fingo di distrarmi facendo vincere il senso del pudore e perdo spesso: persone, occasioni, innocenza, amori. Sono quella luce che si spegne per ultima nel cortile, do la buonanotte a un intero condominio, non me lo ha chiesto nessuno e nessuno lo sa, lo faccio per me. Sono quella presenza fissa nella vita delle persone che mi circondano, colei che si ricorda le scadenze e gli impegni altrui e si assicura che tutto sia andato per il meglio. Se mi guardo da qui, da sopra questa montagna di giorni, vedo tutto, le chiacchiere, i viaggi, le liti, le incomprensioni, le brutte notizie, le bellissime novità, le corse, l’intimità, gli incontri (che incontrollabile magia sono gli incontri fortunati, soprattutto quelli che avvengono dopo un decennio) e vedo la fatica e la sofferenza per un amore finito anni prima, finalmente superata in questi mesi, che a pensarci ora mi vien da ridere: possibile che non avessi di meglio da fare che soffrire? Da qui mi vengono in mente altre mille alternative. Tipo sbrinare il frigo, per dirne una. Ma cosa sono gli asterischi in realtà se non aggiunte, postille, arricchimenti ad un discorso già iniziato?

Ma non sono stata solo la vittima incompresa di questi giorni, non sono sempre stata leale, diretta, costante e rispettosa, sono stata anche “Cattiva”, così come mi ricorda Bersani nel quarto brano di La Fortuna Che Abbiamo. Un escamotage che mi permette di fare una riflessione, un parallelismo tra la mia professione e la denuncia che l’artista fa in questo brano. Faccio una premessa, il mio lavoro non è semplice da capire. Vallo a spiegare a chi vuole passare con te qualche ora ma ti riesce ad avere solo con il computer sempre a portata di mano, tra una telefonata ed un’altra, anche a letto, quando il telefono ti scoppia di whatsapp. Agli amici che non capiscono perché leggi le mail a cena. Ai tuoi perché sei sempre la prima che scappa da tavola, pure a Natale. A quelli che ti chiedono come stai e tu vorresti rispondere “morta” e invece sorridi. Ma poi ti rendi conto che – anche se è vero che non salvi vite umane – contribuisci a renderle più belle, sfruttando il magico potere della musica. E allora ti alzi da tavola, riapri il computer, riprendi il telefono e ricominci. Con il sorriso. Ma molto spesso la comunicazione ed il giornalismo vengono confusi nel loro intento e diventano mezzi di distorsione e spettacolarizzazione della realtà, soprattutto nei casi di cronaca.

Questo brano traccia un profilo della “mamma di Cogne” in una aggettivazione così diretta, “cattiva”. Durante il Concerto del Primo Maggio 2010, dopo aver eseguito il brano, Samuele racconta di come sia nato dalla sua personale avversione nei confronti di quello che definisce “il peggior telegiornale italiano“, Studio Aperto, «che» aggiunse «non mi ha mai rappresentato; quando mette le mie canzoni nei servizi con le tette mi vergogno da morire». Il brano ha vinto anche il Premio Tenco nel 2004 come “miglior brano”.
Il brano successivo di La Fortuna Che Abbiamo è la vera spina nel fianco per me, “En e Xanax”. Io, chimica farmaceutica abilitata all’esercizio della professione, da mente scientifica leggo in questo titolo il nome di due benzodiazepine, al loro effetto inibitorio nei confronti del neurotrasmettitore GABA (neurotrasmettitore down, al contrario della serotonina che è un Up). Azione che compie anche l’amore. Questo brano è il ritratto dell’amore per eccellenza. Lei (En), lui (Xanax), sono l’uno l’ansiolitico per l’altro. Due dubbi che insieme riescono a diventare una forza. In un mondo che chiede di nascondere le paure, perché delle paure ci si vergogna, En e Xanax le mischiano: è un atto d’amore, una rivoluzione possibile.

“Se non ti spaventerai con le mie paure
Un giorno che mi dirai le tue troveremo il modo di rimuoverle
In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore
E su di me puoi contare per una rivoluzione
Tu hai l’anima che io vorrei avere”

Mi alzo dal mio divano giallo senape, avvolta nella mia felpa delle Zebre Parma Rugby (uno dei pochi lasciti di quel passato precedente) e – dopo aver dato una bella ingurgitata alla mia birra – cambio il lato del vinile.
Primo brano delle b-sides di La Fortuna Che Abbiamo è “Lo Scrutatore Non Votante”, un testo manifesto critico di chi non si schiera e “si fa complice delle contraddizioni della vita di tutti i giorni“, come ha spiegato l’autore stesso. Quando uscì questo brano era in atto in me una rivoluzione, mi stavo avvicinando al mondo delle lettere, stavo cercando – faticosamente e rovinosamente – di affiancarlo al mio percorso di studi scientifici e fui subito attratta da come esso in realtà non fosse anticipatore di alcun progetto discografico, ma rispecchiava l’urgenza di Samuele di dire la sua su quel preciso contesto sociopolitico che lo circondava, ruolo da sempre assoggettabile ai giornalisti. Una denuncia chiara e diretta ai cerchiobottisti, troppo facile stare nel mezzo, senza schierarsi. Senza una reale assunzione di responsabilità.

Brano successivo è “Come Due Somari”, forse il vero specchio della mia e di tante altre realtà sentimentali attuali; una riflessione poetica su di una storia d’Amore “senza strategia”, una storia appesa ad un filo e piena di insicurezze, nella quale è protagonista l’amara consapevolezza dei tanti dubbi e delle tante incertezze, in cui probabilmente l’unica via d’uscita è la tormentata rinuncia a viverla, lasciando perdere tutto.

Occorre spingere ai limiti la carrucola
Con le scintille fra le mani e poi la corda se ne va
Noi due come due somari siamo senza strategia
E abbiamo perso l’indirizzo per andar via
E’ l’occasione di lasciar perdere?”

Questo o quell’altro amore. Inizia tutto con Devilman, hai tre o quattro anni ma quando c’è lui baci lo schermo e canti “Davilman grande uomo diavolo, come un angioletto su nel cielo volerai se ti innamorerai”. Un diavolo caduto che cambia per amore, si comincia bene. Poi Lady Oscar nuda con André, André nudo con la benda sull’occhio, un po’ principe un po’ Capitan Harlock. E tu pensi che l’amore sia questo: spogliarsi in un prato sotto una coperta di capelli biondi. I bigliettini “ti vuoi mettere con me: sì no forse”. Il picciolo della mela girato su se stesso dicendo l’alfabeto fino a quando si rompe. A te piace Robertino, ma il picciolo non si rompe mai al primo giro. Mi fischiano le orecchie, dimmi un numero: 8. abcdefgh… ma no h no! Pretty woman, Pretty in pink e la gran culo di Cenerentola. Sposerò Simon Le bon il sabato pomeriggio. Ti ha baciata? Se ti bacia con gli occhi chiusi vuol dire che ti ama. E poi le grandi scelte: Dylan o Brandon? Dylan. Robbie o Mark? Robbie. I succhiotti, gli inutili succhiotti sul collo, il marchio dell’amore. Le cassettine e le dediche alla radio. MTV quando non c’erano ancora solo ragazzine incinte. MTV quando non avevi ancora fatto nulla per rimanere incinta. Ascolti i Red Hot ma ti commuovi con i video di Bon Jovi. Leggi Opinioni di un clown, riscrivi pezzi sul diario. Leggi il giovane Holden, riscrivi pezzi sul diario. Scrivi, scrivi, pagine arate a inchiostro, filari di parole. Fai quello per cui potresti rimanere incinta. Ti hanno detto di aspettare il grande amore, ma anche i piccoli non sono male e fanno diventare grande te. Le telefonate con il cuore in gola «Buongiorno signora c’è Simone?» e Simone non c’è mai. Alla fine chiami e, se non risponde lui, attacchi. A volte ti fai male, a volte fai male tu. What’s up dei 4 non blondes cantata squarciagola, poi sei in macchina con Alanis Morissette e guida lui, pensi che la tua vita andrebbe meglio se avessi la felpa e i pantaloni di Natalie Imbruglia in Torn. I messaggi come molliche di pane per trovarsi a notte fonda, anche stasera. Trovarsi e perdersi. Siamo arrivati così ai “Giudizi Universali”, che in questo vinile di La Fortuna che Abbiamo risultano impreziositi dalla voce di Carmen Consoli, il vero m’ama non m’ama, quello che succede dopo la separazione. Ogni volta che vedi il modello della sua auto senti una fitta, tu che non riconosceresti una Cinquecento da una Maserati, hai imparato a distinguere i tuoi doudou. Ti fa male il letto. Dopo esserci stati insieme lo ritrovavi spostato verso la finestra di qualche centimetro, era l’unità che misurava quanto vi foste spinti più in là nei vostri desideri. Da quando vi siete lasciati quel letto è fermo, immobile, senza vita. Ti fanno male i capelli, che hai tagliato come forma di privazione, per dimostrare che sei un po’ meno tu. Ti fa male il gatto con cui lui faceva grandi discorsi quando stavi in bagno, ti piaceva pensare che parlassero di te. Questo è.

La Fortuna Che Abbiamo


A proposito di featuring e grandi duetti presenti in La Fortuna Che Abbiamo, il prossimo brano è uno dei più riusciti. “Chicco e Spillo”, su barre di Caparezza e ritmiche del GnuQuartet è il triste rimando alla fine degli ottanta ed agli inizi degli anni novanta, alla situazione quasi ossimorica in cui periferie e centri urbani erano agli antipodi, gli anni in cui tra le pere nei bagni delle borgate e i lustrini e i club esclusivi della parte-bene delle città, una realtà viva veniva fuori: la droga era fra noi, anche fra gli insospettabili. Samuele Bersani è, prima di ogni altra cosa, uno scrittore di incredibile abilità tecnica narrativa. Con questo brano, il suo esordio solista, ne ha dato una grande prova. Grande scrittore per immagini e dinamiche: lo ha dimostrato sceneggiando in musica e parole, dai suoi vent’anni di barba invadente post naja, un piccolo cortometraggio: stretto tra Sergio Leone, Pasolini, la scuola cantautoriale, ma anche la pungente coerenza testo-musica dei grandi Mogol & Battisti. E infatti d’improvviso e immagini statiche diventano movimento, Chicco sogna una rapina e poi di scappare senza che si slaccino le scarpe. Però per le strade corre l’ambulanza della Croce Rossa e, funesto presagio, c’è qualcuno che sta maleil prete prepara la chiesa per il funerale.

Il penultimo brano di La Fortuna Che Abbiamo, evergreen della musica d’autore italiana, torna a strizzare l’occhio alle storie finite.

“Dentro al replay
Per un attimo c’ero e anche lei
Ma in quel momento
Qualcosa ho cancellato
Si è fermato il tempo, la sua regolarità
E come se morissi
È sparita anche la luna
È cominciata l’eclissi”

“Replay” brano che ha trionfato al Festival di Sanremo nell’edizione del 2000, aggiudicandosi il premio della critica. Nel testo si parla di una storia d’amore ma anche della storia della propria vita passata tra sogno e realtà dove è necessario fermarsi e riguardarsi in un replay per osservare gli errori compiuti, riconoscere le proprie intenzioni, le proprie dimensioni e riassaporare sensazioni ed emozioni che sono andate perdute con lo scorrere veloce del tempo. Vivere sogni tridimensionali ovvero reali dove, quindi, la vita si sostituisce al sogno e viceversa. Insomma avere il pieno possesso del proprio tempo.
Mentre “Occhiali Rotti”, ultimo brano di questo primo vinile di La Fortuna Che Abbiamo, scorre le sue ultime note, decido di chiudere il mio m’ama non m’ama di questo giorno a cavallo fra i due anni, il 2018 passato e il 2019 prossimo futuro. E faccio m’amo non m’amo con i giorni passati, 365, dispari, così finisce sempre, grazie al cielo, che m’amo. Nonostante tutto, nonostante quello che non sono riuscita a fare, nonostante quello che mi è mancato, nonostante dove sono mancata io. Continuo ad avere questa vita col doppiofondo, forse tutte le vite ne hanno uno, fatto di quello che non diciamo nemmeno a noi stessi, di quelle cose piccole e insidiose, che teniamo ben chiuse. Poi un giorno dispari succede che tutti quegli oggetti non ti fanno più male, al massimo ti fa male il frigo da sbrinare. E ti prende una strana euforia, una strana allegria da giorno dispari, da giorno buono, da giorno che m’amo.

(Articolo originariamente apparso a firma della sottoscritta su Inside Music Italia)

Fabiana Criscuolo
Previous

Tolo Tolo: Checco Zalone, tra satira e realtà – Recensione

Kashmir dei Led Zeppelin: fascino persistente

Next
Wordpress Social Share Plugin powered by Ultimatelysocial