Carmen Consoli, lo stile dirompente della “cantantessa” attraverso 10 canzoni

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Erano gli anni Novanta quando sulle scene musicali italiane trionfava il “bel canto”. E poi arrivò lei, Carmen Consoli, con il suo talento grezzo e la sua voce graffiante e decisa si prese con forza il soprannome di “cantantessa”

Otto album in studio, tre album dal vivo, una compilation, un album di colonne sonore, tre video album, 34 singoli e numerose collaborazioni con artisti di spicco. Carmen Consoli vanta una carriera invidiabile, quasi inarrivabile, a mio personalissimo parere. Sempre ironica e critica, sempre attuale e fuori dagli schemi, capace di reinventarsi negli anni, ma rimanendo coerente con se stessa e la sua musica.

Elegante e grintosa, Carmen ha fatto del suo timbro vocale un marchio inconfondibile e della sua penna un punto di riferimento per diverse generazioni. Uno stile unico ed inimitabile, l’artista siciliana è entrata in scena in punta di piedi, per poi esplodere straripando ogni ipocrisia del reale.

Nell’arco degli anni, con la sua personalità dirompente, è stata capace di portare quel sole di “una raggiante Catania” nella musica italiana, e possiamo solo che ringraziarla per questo, per aver sventrato ogni cliché e per raccontare in modo tragicomico storie di vita, spesso incentrando l’attenzione su personaggi cupi e macabri, in modo atipico e penetrante.

Carmen Consoli

Scegliere le 10 canzoni più rappresentative di Carmen Consoli è stato un lavoro arduo.

Soprattutto per chi – come me – l’ammira da anni. Fino a diventare un vero e proprio punto di riferimento artistico, rimanendo esterrefatta, ogni volta,da tutta quella voglia di farcire la musica con temi nuovi, spesso soffocati da una società miope e poco attenta a ciò che la circonda.

Era il 1996 quando Carmen entrava in scena con l’album “Due Parole”, regalando al pubblico sanremese una perla, Amore di plastica, nella quale racconta una storia d’amore inconsistente e inattenta alle più piccole sfumature dell’anima, rinunciando a quel sentimento in favore della propria dignità e riscoperta più intima. Converrete con me che quell’ottavo posto al Festival della canzone italiana è stato del tutto ingeneroso.

L’anno dopo ci riprova a Sanremo, portando ancora una volta tutta la sua atipicità artistica in Confusa e Felice, canzone d’amore che narra lo stato d’animo e le aspettative d’un consenso quotidianamente “cercato”. Il singolo darà il nome anche all’album, tra i più belli dell’artista sicula, consacrandola nell’olimpo delle cantanti italiane, nel quale troviamo altri due brani sacri, impossibili da non metterli nella nostra top ten.

Il primo è Blunotte, una dolce ballata sofferta e struggente, dove Carmen si imbatte nel tema della dipendenza affettiva. Il secondo è Venere, melodia dolce che accompagna un testo rabbioso che parla di una relazione che la prosciuga, fino a storpiarla, nonostante continui ad essere una bellissima venere.

Era il 2000 e Carmen Consoli decise di uscire con un album consistente e dissacrante, “Stato di necessità”. In questo lavoro discografico troviamo In bianco e nero, presentata anch’essa al Festival di Sanremo, dove l’artista si sveste di ogni incertezza e racconta il rapporto fatto di alti e bassi con la madre, due donne troppo diverse e troppo simili allo stesso tempo. Nel cd è presente anche L’ultimo bacio, colonna sonora dell’omonimo film, una ballata d’addio straziante a quell’amore soffocato, una scelta sofferta, che lascia dentro “il senso spietato di un non ritorno”.

Tutta l’ironia della cantantessa trasuda in Fiori d’Arancio, contenuta nel lavoro L’essenziale” dove esce fuori tutta la sua sicilianità. Il singolo è classificato come “tormentone” estivo, ma per chi conosce Carmen sa che questa, a discapito della melodia orecchiabile, è tutt’altro che un brano da cantare in spiaggia a squarcia gola con gli amici. Una canzone che parla dell’abbandono, raccontato attraverso la metafora della sposa lasciata all’altare, davanti al prete e i fiori ancora freschi, aspettando lo sposo “con emozione”, ma che non arriverà mai.

Nel settimo album dell’artista, “Elettra”, troviamo il dolce omaggio a Rosa Balistreri, ovvero la ballata popolare A Finestra, cantata interamente in siculo con un ritmo sostenuto e incalzante. Veracità e ironia la fanno da padrona nel racconto di una denuncia fatta, affacciata alla finestra come i vecchi cantastorie, al perbenismo incafonito di un popolo cieco.

Nello stesso lavoro discografico è contenuto il brano Mio zio, una canzone che affronta il delicato tema della violenza domestica, dell’incesto, della vergognosa omertà che padroneggia le anime dei più. Un tabù raccontato con parole dirette e violente, senza veli. Un vero pugno nello stomaco che fa riflettere.

Ed in fine veniamo ad “Eco di sirene”, a mio avviso l’album più bello, completo, sofisticato e ricercato dell’artista, nel quale ha avuto la prontezza e la capacità di rivisitare alcuni dei suoi vecchi brani in chiave intima e atipica. Mentre Carmen Consoli ha detto che questo è un cd da non ascoltare in macchina, io lo ascolterei in auto, in camera, in cucina, in spiaggia, ovunque, perché dei prodotti così non se ne trovano.

Una vera chicca adornata da chitarra acustica, violino e violoncello, dal quale esserne fieri, e chi se ne frega se è “fuori moda”. Come simbolo di questo capolavoro artistico ho scelto Tano, un brano che incentra la sua narrativa nella “vecchia” Sicilia tradizionalista e passiva, una storia d’altri tempi, dove le donne sopportavano e gli uomini abusavano.

Isabella Insolia
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