Emily Dickinson, l’amore a distanza oggi nelle sue parole

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Questi giorni di quarantena – liberi momenti di pensiero e preoccupazioni dolorose – ci pongono nelle condizioni di provare diverse emozioni: a volte semplici, a volte articolate e condizionate. È, però, anche il tempo delle contraddizioni dei sentimenti: da un lato la possibilità di riscoprire intimi momenti famigliari persi nel nostro vivere affaccendato e dall’altro l’angoscia verso la salute dei propri cari e il difficile equilibrio socio-economico.

Così, l’amore di questi giorni è un amore intenso, famigliare, legato ad un nucleo affettuoso e personale ma è al contempo anche quello dell’amore a distanza, inespresso e rannicchiato.

Dall’altra parte dell’Oceano nel XIX visse una delle scrittrici più interessanti della cultura anglo-americana, portatrice di una poesia mistica e pura, dai toni lievi e dal carisma ombroso. È Emily Dickinson, la cui vita sorprende tanto quanto le sue composizioni poetiche. Emily visse una vita totalmente fuori dal comune. Espressione personale di una controtendenza affatto ostentata, ma conservata intimamente.

Nel 1886 quando i suoi famigliari, dopo la sua morte, ebbero modo di frugare tra le sue carte scoprirono una quantità cospicua di composizioni liriche. Quello che trovarono, inaspettatamente, furono 1775 versi, scritti dalla fanciullezza sino all’età adulta e conservati scrupolosamente in piccoli quadernetti rilegati a mano. Emily Dickinson visse gli ultimi quindi anni della sua vita rinchiusa nella sua stanza al secondo piano di una casa di campagna nel Massachusetts, assieme ad alcuni suoi famigliari.

Quella di Emily è un’autoreclusione o un eremitismo volontario di cui non si conoscono le motivazioni. Forse una delusione amorosa, forse un desiderio connaturato a vivere nella solitudine e nella privatezza dei propri pensieri. Un artista della sua natura è così difficile da analizzare e credo che il rispetto della sua condizione sia la cosa migliore che noi lettori possiamo fare. Anzi la laicità mistica della sua condizione aumenta il fascino di questo profilo oscuro, che abbraccia la natura, la morte, il fabuloso, il dolore, l’intimità e la passione come elementi caratterizzati da un’estrema naturalità.

Emily Dickinson quindi ci può capire e noi ce la sentiamo così vicina in questi giorni, lei che forse ha vissuto grandi amori per tutta la vita celandoli nel segreto dei suoi battiti. Forse in preda ad un amore distante o impossibile.

Ed ecco quindi affiorare tra le pagine della Dickinson una poesia d’amore che condividiamo volentieri con tutti quelli che in questi giorni amano a distanza. Se tu venissi in autunno è la bellezza di un amore forte, che con i mezzi dell’immaginazione e la piena ingenuità sfida le distanze, il tempo e la sorte, che possiede forse in un vagheggiato amore eterno la completezza di due amanti. Se tu venissi in autunno è l’amore che possiamo dedicare ad un figlio, ad un nonna, ad un nonno, ad un padre, ad una madre, ad una sorella o un fratello che vivono oltre i muri delle nostre case.

Emily Dickinson

Se tu venissi in autunno

Se tu venissi in autunno,
io scaccerei l’estate
un mezzo sorriso distratto
come fa la massaia con la mosca.

Se potessi vederti fra un anno,
farei gomitoli dei mesi –
e li metterei in cassetti separati,
perché non si confondano.

Se tu tardassi solo per qualche secolo,
li conterei sulla mano,
sottraendoli, finché le mie dita
non cadessero nella terra di Van Diemen [1]

Se fossi certa che dopo questa vita –
tu e io vivremmo ancora,
la getterei, come una buccia,
per prendere l’eternità –

Ma ora, incerta sulla durata
dell’intervallo che si frappone,
mi tortura come un’ape fantasma-
che non vuol dichiarar la sua puntura.

(Emily Dickinson 1862 – poesia 511)
Una video poesia: https://www.youtube.com/watch?v=jB_pPSTt3A8

[1] La “Terra di Van Diemen” è l’odierna Tasmania. Il nome attuale è quello del navigatore olandese che la scoprì, però, fino al 1853, l’isola prendeva il nome da Antoon Van Diemen, un amministratore coloniale olandese.

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