“Underwater”, che abisso…

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Underwater è un film… difficilmente commentabile, mettiamola così.

Survival horror di serie B, con tutto il rispetto per alcuni film di serie B, Underwater si basa su una trama tanto semplice quanto banale e prevedibile che non si può assolutamente commentare o prendere sul serio. Perciò, la recensione che segue sarà ironica, tanto, e piena di spoiler. Che poi… davvero non si capisce che moriranno quasi tutti, soprattutto lo stupidone poco tonico col peluche di coniglio portafortuna???

Dunque, trama. Nel fondale del Pacifico l’avidità umana porta a trivellare la sabbia a caccia di materiali su cui lucrare (petrolio, gas, pinne di squalo, fate voi). Ma, come diceva Saruman dei Nani di Moria, si scava troppo a fondo e con troppa avidità. Quello che viene risvegliato non sono propriamente ombra e fiamme… Magari ombra e bollicine, tentacoli, Chtulhu, il Karathen  di Aquaman, xenomorfi subacquei.

La stazione di trivellazione subisce una perdita strutturale e metà dell’impianto implode sotto la pressione oceanica.

Cosa avrà provocato la perdita? Un terremoto? Una fuga di gas? Vabbè, tranne che per i protagonisti, è chiaro che qualcosa di molto malvagio e idiota ha scambiato una trivella di seimila tonnellate per un sacco da boxe.

Il grande capitano Vincent Cassel (buttato a caso in questo film come un pesce fuor d’acqua… ah-ah), uno dei pochi sopravvissuti insieme a Kristen Stewart, decide che l’unica via di fuga è farsi una passeggiata in scafandro nel fondo oceanico per arrivare a una stazione ancora intatta da cui risalire in superficie. Tanto chi vuoi che ci sia in giro? Il problema è che quella che potrebbe essere una gita al mare molto originale diventa un gioco alla gatto e topo. E i sopravvissuti sono il topo.

Per arricchire un po’ la trama facciamo delle finte digressioni sul passato dei vari personaggi con battute molto profonde del tipo: «Qualcuno di voi aveva dei cani? No, perché io in superficie ne avevo uno»… Sì, penso sia tutto il profondo subconscio che Underwater riesca a indagare nei suoi novanta minuti scarsi.

Torniamo ai mostri marini che giocano ad acchiapparella.

Si arriva alla benedetta stazione di trivellazione che Vincent Cassell aveva indicato. Ovviamente il poco tonico stupidone ce lo siamo giocati molto tempo fa. Pure Vincent ci lascia con quella che dovrebbe essere la scena un po’ drammatica e carica di pathos.

Ora, indovina indovinello. Se ci sono tre superstiti, quante capsule di salvataggio monoposto abbiamo a disposizione? Esatto. Due. Quindi Kristen Stewart farà l’eroina della situazione e lascerà partire gli altri due. Nel frattempo fa saltare in aria l’intera stazione con un bel fungo atomico subacqueo e una bella frase a effetto: «Facciamo esplodere questa me**a». Sì! Accipicchia, tu sì che sei forte!!!

La trama di Underwater è questa. Un bel pasticcione di cose già viste e già sentite.

Sale subito agli occhi la somiglianza con la saga di Alien. Quasi mi aspettavo di sentire qualcuno dire: «Vengono dalle pareti! Vengono fuori dalle fottute pareti». Poi incontrare prima il cucciolo di  mostro marino, che esce dal corpo di un uomo (originale…), poi i mostri marini un po’ più grandini, poi la mamma di tutti i mostri, bestione mitologico grande quanto la Nuova Zelanda o giù di lì. Eddai su, è Aliens!

Sicuramente parte dell’ispirazione deriva poi da Ventimila leghe sotto i mari di Verne, tra l’altro citato dal poco tonico stupidone, che spera di non incontrare roba simile a quella descritta nel libro, povero illuso. E poi quanto è stato già scritto sugli abissi, i mostri degli abissi, le creature degli abissi (qualcuno ha detto Lovecraft?). La somiglianza poi con il mostro di Cloverfield fa un po’ storcere il naso…

Risulta difficile prendere seriamente un film che probabilmente nutriva pochissime aspirazioni. Si può apprezzare l’insieme degli effetti speciali, che effettivamente sono ben realizzati e suggestivi, e una colonna sonora spesso azzeccata, con i suoi suoni misteriosi e liquidi. Per il resto, beh… sfrutterei la frase a effetto della protagonista sopra citata e tanti saluti!

Daniele Carlo
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