Judy, il biopic su Judy Garland – Recensione

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Judy è un film biografico sulla vita dell’attrice Judy Garland, stella di Hollywood fin dalla giovanissima età.

Nota in particolare per il suo ruolo da protagonista ne Il Mago di Oz, Judy Garland ha avuto una carriera estremamente intensa. La sua partecipazione a decine di film in una vita prematuramente spentasi a 47 anni le ha portato soddisfazioni lavorative, ma anche numerose difficoltà nella vita privata. Cinque matrimoni e tre figli, tra cui la star Liza Minnelli, e abuso di farmaci e alcool.

Judy, con la protagonista interpretata da Renée Zellweger, cerca di mostrarci uno spaccato della vita della storica attrice e cantante. Il suo sguardo si posa sulle difficoltà degli ultimi mesi di vita della protagonista. Tra una carriera ormai al tramonto, le difficoltà familiari e una società che non riesce a separare l’individuo dal personaggio, Judy cerca di recuperare prestigio e denaro attraverso una lunga serie di esibizioni nei migliori locali londinesi. La carriera cinematografica viene tratteggiata attraverso diversi simbolici flashback, in cui la giovane Judy è interpretata da Darci Shaw, per poi focalizzare maggiormente l’attenzione sulle vicissitudini durante le esibizioni canore. Come è facile immaginare, si tratta di un periodo turbolento della sua vita. La protagonista alterna infatti prove di grande spessore ad altre fortemente critiche, spesso macchiate da profonda mancanza di professionalità.

Judy sviluppa i mesi dell’esperienza londinese attraverso persone e momenti fondamentali per l’evoluzione del personaggio.

Vediamo la Garland costretta a lasciare i figli negli States per dedicarsi maggiormente alla sua carriera nel Vecchio Continente. Osserviamo il rapporto difficile e sempre distaccato che si crea tra la star e tutto lo staff che la circonda, dall’assistente all’impresario al direttore d’orchestra. O meglio, notiamo come, per quanto queste figure si impegnino a entrare in contatto con lei, è proprio la cantante ad avere dei problemi personali che le impediscono di aprirsi al mondo. Infatti si può constatare come la sua vita sia scandita dai drammi privati (le insonnie, l’alcolismo e l’abuso di farmaci) e le maschere pubbliche (le esibizioni). Un contatto vero la Garland lo riesce a creare solamente con l’ultimo marito e con una coppia di fan di lunga data, che la ospitano per cena dopo una serata.

Si comprende quindi come la scansione di Judy si basi molto sul suo precedente teatrale, End of the Rainbow.

La divisione è nettamente schematica, attraverso atti scenici che separano nettamente le varie parti della pellicola. Una soluzione anche interessante, con un suo perché. Tuttavia, sembra mancare proprio l’elemento principale di questa scansione narrativa: l’evoluzione effettiva di Judy Garland.

Lungo tutto l’arco dei 120 minuti di durata non la protagonista non sembra sperimentare un vero processo di crescita o di cambiamento.

Le cattive abitudini restano, le amicizie e le compagnie sono sempre ambigue e mai completamente disinteressate, lei stessa non sviluppa un miglioramento generale o anche solo particolare tale da renderla più apprezzabile da parte del pubblico. Judy, a causa del suo dramma personale e delle sue problematiche, spreca infatti anche l’occasione londinese, bruciandosi in ripetute chances concesse dall’impresario.

La sua redenzione finale, la sua catarsi, ammesso che ci sia, sembra avvenire nel finale.

La sua Somewhere over the Rainbow, cantata con la voce strozzata dal pianto e sostenuta dal pubblico, sembra un preludio alla morte imminente e alla conseguente entrata in Paradiso accolta da un coro angelico. Una risoluzione positiva col pubblico stesso, ma anche con la vita. Tuttavia è un espediente piuttosto debole e fiacco in una trama che non gode di grandi sussulti. Judy si destreggia piena di incertezze tra un formato quasi documentaristico, soprattutto nelle scene di canto, a tratti fiction piatti e macchinosi. Tutti i personaggi poi sono distribuiti in maniera estremamente schematica tra buoni e cattivi, privandoli di una psicologia e un’evoluzione personali. Il distacco dalla seconda figlia, per esempio, meritava un approfondimento maggiore, in quanto costituisce una parte importante del dramma. Eppure viene risolto con una semplicistica conversazione telefonica, condotta in maniera quasi indifferente tra le due interessate.

Resta anche difficilmente apprezzabile la prestazione della Zelleweger, la quale, secondo un parere esclusivamente personale, non è da Oscar.

La sua Judy Garland è un personaggio sgradevole, per la quale difficilmente riusciamo a prendere le parti, nonostante tutti i drammi che ha subito. La sua interpretazione ruota intorno all’uso eccessivo ed esclusivo di boccucce arricciate e musini affettati, il tutto condito da un accento costantemente brillo e caricaturale. Molto più azzeccata l’interpretazione della giovane Judy da parte della Shaw. In lei si riescono a intravedere le due anime contrastanti della vita della grande attrice: l’amore per il palco e lo spettacolo e il grande sacrificio che lo star business richiede.

Il grande colpo a effetto viene mancato poi nelle scene delle esibizioni dal vivo.

Per quanto si tratti di scene emozionanti e dei momenti migliori del film, in cui effettivamente si colgono catene di emozioni differenti (pregevole qui la prova della Zellweger), qui si cade su alcuni errori sul particolare che un film ricco di ambizioni non può fare. Le scene ovviamente sono in playback e non si pretende il contrario. Si pretende però che le comparse che interpretano i membri dell’orchestra non si muovano così fuori sincrono con la base musicale. Su tutti il finto batterista che si agita sul fondo della scena toccando i piatti con gesti innaturali e quasi esclusivamente fuori tempo. Non avere cura di questi dettagli è una gravissima pecca, soprattutto se si vuole ricostruire in maniera pedissequa un certo ambiente e una certa atmosfera.

In sintesi, Judy è un film sufficiente, sicuramente.

Ma non gli si può dare più di una stretta sufficienza. Le interpretazioni un po’ fiacche, il suo schematismo e la sua struttura scontata tradiscono enormemente le aspettative, che erano ben più alte.

Daniele Carlo
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